É un interesse che ho sempre avuto quello per i camion. Se qualcuno mi chiedesse di spiegare com’è nato, non sarei in grado di dare una risposta. É difficile spiegare i motivi per i quali nascono gli interessi e maturano le passioni. Posso solo provarci.
Credo fosse il 1965 e tre coincidenze iniziano ad avvicinarmi al mondo, per me affascinante, dei veicoli industriali. Il primo è un regalo dei miei genitori: uno splendido modello in metallo di una stazione di servizio Esso con autocisterna; il secondo, invece, è un regalo di mio nonno: un Lancia Esadelta Polystil in metallo sul quale carico i chicchi di riso spingendolo su e giù per la mobilia di casa; il terzo, destinato a durare nel tempo, è l’inizio della grande amicizia con Loreno e Matelda Lorenzini, nella cui abitazione, a Castiglione della Pescaia, vado in affitto per parecchie estati per trascorrere le vacanze al mare. Davvero una seconda famiglia e lo dico con partecipazione, se è vero che non bisogna provare vergogna dei propri sentimenti.
Loreno è un camionista. Lavora come dipendente di un’impresa di costruzioni fino all’inizio degli anni sessanta e si mette poi in proprio acquistando quel camion che guiderà per quindici anni: un Fiat 642n6r. Se si combinano queste tre circostanze, e se si aggiunge la naturale curiosità dello scrivente, è facile capire come siano state importanti per facilitare la nascita di questa passione.
Luglio 1970. Dopo essere rientrato in casa dalla spiaggia, all’ora di pranzo, metto i piedi sotto il tavolo. Insieme con me ci sono i miei genitori e la famiglia Lorenzini al completo, compresi i figli Sauro e Sandro.
Finito il pranzo, in attesa di prendere il caffè, Matelda mi dice: “Loreno deve ripartire, prende il caffè e se ne va; ti piacerebbe andare sul camion con lui?” Credo che l’urlo di felicità lo abbiano potuto sentire fino a Grosseto.
Dunque si parte: è il periodo in cui Castiglione della Pescaia si espande e poiché per costruire è necessaria la fornitura di rena, Loreno è impegnato a portare carichi di rena alle imprese edili che lavorano in quella zona.
Nel comune di Castiglione non esistono cave di materiali inerti; le più vicine e le più fornite si trovano lungo il corso dell’Ombrone, poco a est di Grosseto. Per questo motivo puntiamo verso Grosseto e poi San Martino, Stiacciole e Istia d’Ombrone, in direzione di Scansano. Deviamo per Campagnatico, lasciamo la strada provinciale e imbocchiamo una strada sterrata, sulla destra, che ci porta direttamente alla cava, oggi abbandonata. “Sei venuto a caricà col bimbo?”, dice Ilvo, il titolare della cava, a Loreno. “Vol venì con me”, risponde lui.
Il camion rallenta ed entra sotto i silos, a marcia indietro, per fare il carico. La leva apre le bocche di scarico e la rena, appena estratta dall’Ombrone, e trasportata in cava con una draga, finisce dentro il cassone, con l’acqua che fuoriesce dalle fessure sotto le sponde. Basta poco per fare felice un bambino.
A mano a mano che il tempo passa, mi rendo conto di andare più volentieri sul camion che sulla spiaggia: un giorno siamo a Stiacciole a caricare la rena, quello dopo a Scarlino a caricare i sassi, quello dopo ancora a Piombino a caricare il ferro. Insomma su e giù per la Maremma a bordo di un camion. Qualche anno dopo Loreno lo venderà e troverà un nuovo impiego come giardiniere nella pineta di Roccamare ma, ormai, il mio rapporto con i veicoli industriali è tale che continuo a considerarli in modo quasi familiare, soprattutto quelli di allora.
Loreno se ne è andato nel giugno di tredici anni fa. Non stava più bene da un po’ di tempo. Camminava con fatica e non era più in grado di guidare: quasi uno scherzo del destino, per uno come lui che aveva trascorso una vita davanti al volante. Mi ha conosciuto quando ero piccolo e mi ha accompagnato per oltre quarant’anni. Negli ultimi tempi, quando andavo a trovarlo, ricordavamo spesso quel periodo della sua vita legato al lavoro col camion. Gli faceva piacere e si commuoveva.
L’ultima immagine che conservo di lui è il saluto con la mano dal balcone di casa mentre ripartivo da Castiglione della Pescaia per tornare ad Arezzo. Era il mese di settembre del 2006, sarebbe morto nel giugno del 2007. Ironia del destino, l’ultima sua immagine è stata identica alla prima quando, nel luglio 1965, mi salutò con un cenno della mano dal terrazzo di casa mentre mia madre mi teneva in collo. In mezzo ci sono stati quarantadue anni di affetti, premure, gesti di generosità e di ospitalità ai quali mi viene naturale andare con il pensiero.
Solo qualche anno dopo, lo ha raggiunto in cielo il figlio più piccolo, Sandro. Il loro distacco mi ha dato la sensazione chiarissima del tempo che se ne va. Ci sono momenti nei quali i ricordi pesano. E il rimpianto e la nostalgia si concentrano sui volti, sulle voci, sui sorrisi che non possono più tornare. Il vuoto non si riempie mai. É possibile conviverci, ma quel vuoto rimane.