Un bollettino al giorno, scandito in modo rituale alle 18, rovescia le nostre abitudini quotidiane. Il caffè, il passeggio in centro e la chiacchierata per la strada, lasciano il posto all’ascolto della conferenza stampa della protezione civile e al computo del numero delle vittime e dei contagi.
E non basta che il capo del dipartimento, Angelo Borrelli, inizi la lettura dei dati partendo dal numero dei pazienti guariti, quasi a voler alleviare la gravità della situazione. La realtà quotidiana è stravolta: ognuno di noi, da soggetto attivo, è divenuto passivo. Siamo i semplici fruitori di un messaggio televisivo, ma non riusciamo più a rielaborarlo in maniera critica. Possiamo solo commentarlo, in forma sussurrata, con i familiari che stanno vicino a noi in casa, alla giusta distanza. Non viviamo con la forza dei nervi distesi, ma in uno stato di insicurezza, come se stessimo galleggiando in un ambiente ostile, nel quale muoverci con circospezione.
Siamo fra le pareti domestiche, cerchiamo abitudini alternative a quelle di sempre nello spazio che ci circonda, ma soprattutto in noi stessi.
Proviamo a farci coraggio ridefinendo i nostri comportamenti e pensando positivo, con espressioni del tipo: «sono in casa, ma non sono al chiuso, semmai al sicuro».
L’ascolto della televisione e l’uso del computer hanno una crescita quasi esponenziale: molte emittenti televisive sono costrette a rivedere l’offerta dei loro programmi e gli stessi social accrescono la loro presenza adeguandola all’emergenza.
Da queste considerazioni, che mi sento di fare come giornalista e telespettatore, diventa agevole valutare l’offerta delle notizie nel periodo successivo all’11 marzo.
In questa fase, come nascono e come vengono organizzati, ogni giorno, tra le pieghe del palinsesto, i prodotti delle reti televisive?
Dal punto di vista quantitativo, la disponibilità di informazioni resta molto abbondante, pari, se non superiore, alla fase precedente: le notizie di cronaca continuano a essere quelle più numerose, soprattutto perché vengono divulgate sia nel loro spazio tradizionale, cioè all’interno dei tg, sia nelle normali trasmissioni di intrattenimento. Ogni altro comunicato che non riguardi gli effetti del virus non trova spazio: le conseguenze di natura sociale e psicologica della presenza del covid condizionano ogni aspetto della nostra vita di relazione (scarsa) e di quella sociale (inesistente).
Non vi è dubbio che l’informazione televisiva abbia un ruolo preponderante. I tg, a differenza di quanto è accaduto altre volte, riferiscono i fatti con immediatezza, evitando di adempiere a quella funzione rassicurante che avevano avuto su altri grandi eventi di cronaca accaduti in passato. Le sequenze mostrate sono, talvolta, molto dolorose. Il serpentone di camion militari, in uscita da Bergamo per il trasporto delle bare, rappresenta, forse, l’immagine più emblematica di tutta questa storia.
La differenza, rispetto alla fase antecedente l’11 marzo, consiste nel portare alla luce, con maggiore frequenza, le conseguenze dell’emergenza sanitaria sulla società civile e, in particolare, le ripercussioni sulle attività economiche. Tutte le aziende, ad eccezione di quelle destinate alla produzione di beni essenziali, sono costrette a interrompere la loro attività a causa dei provvedimenti emanati dal governo. L’impatto è devastante, soprattutto per quelle imprese di medie e piccole dimensioni, che rappresentano, da sempre, la struttura portante del sistema economico italiano. Imprenditori e titolari di aziende, prima assenti dal video, o rappresentati con frequenza sporadica, appaiono con sempre maggiore regolarità. La loro voce viene raccolta senza intermediari e non più soltanto attraverso le associazioni di categoria che li rappresentano.
Si tratta, quindi, di una finestra aperta verso la società civile, come è naturale che sia. Il seguito alla prossima.