La nostra vita quotidiana è fatta di incontri. Non potrebbe essere altrimenti e a maggior ragione per chi svolge una professione come la mia. Una parte di essi non ha un seguito e rimane limitata al solo momento iniziale; un’altra continua nel tempo, mantenendosi a un livello di semplice conoscenza; un’altra ancora, invece, può essere destinata a lasciare il segno.
Il discorso è generale è vale per qualsiasi ambito della nostra vita quotidiana: professionale, affettivo, ludico. Spetta a ognuno di noi, secondo me, avere la capacità di individuare quei rapporti che vale la pena di coltivare, in modo spontaneo e senza secondi fini. Non con lo scopo di considerarli un passe-partout per altri obiettivi (scalata sociale, tornaconto economico o altro), ma per permettere uno scambio di idee con l’altra persona, in grado di arricchire e di arricchirsi. Sono, infatti, convinto che le relazioni personali nate in modo strumentale non siano destinate a durare a lungo. Penso, invece, siano destinate a sgonfiarsi in fretta, lasciando col cerino in mano colui, o colei, che ha tentato di costruirle attraverso l’inganno.
Devo ammettere che in questi 40 anni di attività ho avuto modo di conoscere un numero molto elevato di persone. Non c’è dubbio che il tipo di lavoro mi abbia agevolato. Non avrei potuto avvicinare i presidenti Sandro Pertini o Carlo Azeglio Ciampi se non avessi avuto il microfono in mano, e non avrei potuto fare altrettanto con la serie infinita di uomini politici, docenti universitari, eminenze religiose, uomini di sport, di spettacolo e gente comune che ho potuto conoscere di volta in volta. Ma c’è un ricordo particolare che mi porto nel cuore con molta emozione. Risale al 1990. Avevo concluso il servizio militare all’ufficio stampa dello Stato maggiore dell’esercito, a Roma, e avevo compiuto gli studi in scienze politiche all’università di Firenze. L’allora direttore di Teletruria, Gianfranco Duranti, dopo che per un anno mi ero dovuto forzatamente assentare dal video, mi aveva riaffidato il microfono per le telecronache calcistiche. Arezzo ospitava una partita di calcio amichevole della nazionale italiana militare che, proprio in quello stadio, tre anni prima, nel 1987, aveva vinto il titolo di campione del mondo di categoria. L’incontro era stato voluto da Azelio Rachini, dirigente federale, il quale, come già aveva fatto altre volte in passato, si era prodigato per organizzarlo ad Arezzo in segno di omaggio alla sua città. Credo fosse il mese di dicembre.
Presi posto in cabina per iniziare il servizio, fin quando, poco prima del calcio d’inizio, riconobbi una figura storica del giornalismo radio-televisivo italiano, resa inconfondibile dal tono della sua voce: Sandro Ciotti. Ciotti, amico personale di Rachini, era libero da impegni di lavoro e si sedette nella cabina accanto alla mia per seguire lo svolgimento della partita in compagnia di un suo conoscente. Ammetto di avere provato un certo timore. Ci separava una piccola barriera di vetro che, tuttavia, non gli impediva di ascoltare chiaramente quello che io dovevo raccontare al microfono. Era, insomma, una sorta di esame di laurea. Mi feci coraggio, impugnai il microfono e, sollecitato dallo sguardo amichevole dell’operatore Claudio Caloni, iniziai il mio lavoro. La partita andò avanti senza troppe emozioni, raffreddata ulteriormente dalla temperatura piuttosto bassa che avrebbe indotto chiunque a sostare più a lungo al bar dello stadio. Appena finì il primo tempo, riconsegnai il microfono a Claudio e uscii dalla cabina per andare prendere un caffè, quando Sandro Ciotti si alzò dalla sua postazione e mi venne incontro di persona dandomi la mano: «Complimenti, molto bravo – furono le sue parole. Proprietà di linguaggio e ritmo ottimi». Sentii il viso diventare bollente e probabilmente sarà diventato anche rosso. «Dottore – gli risposi – se lo dice lei». «Assolutamente, lo dico perché ci credo – rispose lui – altrimenti non te lo direi. Mi raccomando, tieni duro!»
Se il primo tempo lo avevo commentato al ritmo di un intercity, credo che nel secondo abbia emulato il Frecciarossa, riuscendo perfino a dilungarmi, con scioltezza, su alcuni dettagli non squisitamente calcistici. Era la forza dei nervi distesi.
Ciotti pernottò in un albergo cittadino e ripartì per Roma la mattina seguente. Continuai a seguirlo, sia in radio, sia in tv, ma non ebbi più occasione di incontrarlo Se ne andò nel 2003: le Chesterfield senza filtro avevano fatto il loro effetto. Resta il ricordo di un momento breve ma intenso che, per un giovane telecronista della mia generazione, non può essere dimenticato.
(Foto di Sandro Ciotti, ripresa da Wikipedia, enciclopedia libera)