Non è usuale che la sede di una storica abbazia si trovi nelle vicinanze di un viadotto stradale. Inutile domandarsi se sia nato prima il viadotto o l’abbazia. Basta leggere due documenti e fare un po’ di conti: l’origine della chiesa risale al dodicesimo secolo, mentre la costruzione del ponte fu portata a termine nel 1974. Va detto che la presenza del ponte non è motivo di disturbo, ma è naturale chiedersi se, al momento della sua progettazione, sarebbe stato opportuno concepirlo un poco più in là. Antico e moderno, dunque, convivono a breve distanza l’uno dall’altro, benché il moderno sovrasti l’antico di diverse decine di metri.
Siamo nel comune di Civitella Paganico, in provincia di Grosseto, lungo la superstrada dei Due Mari. L’abbazia è quella di San Lorenzo: si trova nel fondovalle del torrente Lanzo ed è raggiungibile dalla Due Mari con una strada secondaria in forte discesa, la quale diverge dalla via principale all’altezza dello svincolo per il paese. Questa strada arriva sul fondovalle dove scorre il torrente, lo attraversa con un ponte di piccole dimensioni e risale il versante opposto per ricongiungersi al tracciato collinare della vecchia statale Siena-Grosseto.
L’abbazia si trova a poche centinaia di metri dopo il ponte.
Incuriosito dalla suggestione del luogo, e in viaggio verso Grosseto, il viaggiatore immaginario decide di allungare il percorso deviando verso quella direzione. Li per lì è incerto se arrivare fino alla chiesa con la macchina, o se percorrere a piedi l’ultimo tratto di strada bianca. Consapevole che i luoghi si apprezzano di più visitandoli a piedi, anziché osservarli dal finestrino dell’auto, sceglie la seconda soluzione: entra con la sua automobile nella strada inghiaiata per poi posteggiarla in uno spiazzo vicino a una casa colonica abbandonata. La chiesa è visibile in lontananza, facilmente riconoscibile per le sue forme e le sue strutture, ed è raggiungibile attraverso un viale alberato, ai margini della boscaglia.
L’impressione è che il luogo sia quasi abbandonato: nonostante ciò conserva un fascino tutto proprio. La pieve è suggestiva e con maggiori accortezze dal punto di vista della sua conservazione, potrebbe diventare una meta turistica d’eccellenza. Vicino a essa sorge una struttura di epoca più recente, forse un tempo utilizzata come luogo di residenza padronale.
L’edificio religioso ha subito vari interventi nel corso dei secoli e conserva l’originaria facciata in stile romanico. La porta d’ingresso è chiusa con un lucchetto, mentre intorno regna il silenzio. Si avverte soltanto il rumore dei veicoli che transitano sul viadotto, il quale però si disperde nella vallata sottostante.
Il viaggiatore immaginario è solo, non dipende da nessuno se non da sé stesso, e si diletta a passeggiare intorno al monastero incuriosito dall’amenità del luogo.
All’improvviso, da un boschetto vicino, vede spuntare un cane. L’animale non è grande e la sua corsa è accompagnata dal suono di un piccolo campanellino che porta al collo. Non è, dunque, un animale randagio. Il cane si avvicina al viaggiatore, scodinzolando in modo quasi festoso, gli annusa le scarpe e si lascia accarezzare senza opporre resistenza. Inevitabile vedere spuntare anche il suo padrone da un momento all’altro. Ed ecco, infatti, che, nello stesso punto da cui è sbucato il cane, appare la sagoma di una signora di una certa età, la quale inizia a chiamarlo con il suo nome, nel timore che l’animale si sia perduto o se ne sia andato.
Il viaggiatore immaginario, trovandosi coinvolto nella situazione, si limita a un semplice saluto, ma la signora, con molta cordialità, prendendo a pretesto la presenza dell’animale, gli offre lo spunto per entrare in conversazione. Dice che quel luogo è quasi dimenticato, ci capitano poche persone, e la custodia è stata piano piano ridotta al minimo indispensabile. Si augura che il nuovo sindaco di Civitella si dia da fare per valorizzarlo, perché «il posto è bello e merita di essere tutelato come Dio comanda».
La signora racconta poi di sé stessa. Abita in un paese poco distante, è vedova da alcuni anni e le piace tornare in quel luogo perché ci veniva spesso con il marito, con il quale ha condiviso un lungo cammino di vita insieme. Il marito lavorava in banca: non ha avuto il tempo di godersi la pensione che un tumore lo ha portato via. I medici gli avevano detto subito che era una cosa seria. Stette ricoverato per un po’ di tempo all’ospedale di Grosseto, ma le cure non fornirono l’effetto sperato.
Se il viaggiatore immaginario avesse avuto con sé un registratore, avrebbe ricavato una storia di vita degna di essere romanzata. Una vita raccontata in diretta, in uno scenario bello e inconsueto, dove l’unico testimone del dialogo sarebbe stato il fedele animale. E mentre la signora riprende la strada per tornare alla macchina, dopo almeno venti minuti di chiacchierata e un cordiale saluto, il viaggiatore immaginario pensa a quante persone, oggi, sono sole e hanno uno struggente desiderio di raccontarsi. Lo fanno per parlare di sé e per ricevere una parola di conforto da parte di chi, in maniera disinteressata, può essere in grado di offrirla loro. Non una confessione, dunque, ma un dialogo autentico, come se volessero trasmettere a qualcuno il significato più intimo della loro esistenza.
È andata così anche in questo caso e senza che nessuno abbia forzato l’interlocutore per portare la conversazione su certi binari. La signora è rimasta vedova, non ha figli, e l’unico motivo di conforto per lei è quello di avere incontrato qualcuno disposto ad ascoltarla.
Forse il fascino nascosto dell’abbazia di San Lorenzo al Lanzo è servito anche a questo.