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Lo sfogo della Domenica

Quando il portone rimane chiuso

di Luca Tosi Posted on 12 Luglio 2020

Un portone chiuso, una finestra sprangata e uno stato di abbandono che suscita profonda tristezza. È la situazione, sempre più ricorrente, nella quale si trovano i borghi antichi esistenti sul territorio, soprattutto quelli montani. Non è solo una località in grado di dare questa sensazione di abbandono; diciamo che essa è avvertita un po’ ovunque, soprattutto in quei centri abitati che hanno vissuto periodi di splendore e possiedono un passato ricco di storia. In questo caso, il contrasto tra passato e presente diventa ancora più evidente. 

Da anni, ormai, essi vivono una condizione di crescente impoverimento, sia per lo spopolamento che li caratterizza, sia per la perdita di quelle attività, e di quei servizi, che fanno parte integrante di qualsiasi tessuto urbano.

Le case rimangono deserte e la presenza sui portoni, o sulle finestre, dei cartelli con la scritta «vendesi» aumenta ulteriormente il senso comune di sgomento. Sono borghi abitati da un numero via via minore di residenti, nelle cui strade diventa sempre più difficile vedere circolare qualcuno, e dove i rumori caratteristici di una volta sono andati perduti col passare degli anni. Le piccole viuzze antiche, in altra epoca percorse da uomini e da animali, appaiono inanimate, come se non fossero più vissute.  

Questa condizione emerge, soprattutto, durante la stagione invernale; in quei mesi, quando viene meno il minimo afflusso di turisti e visitatori, l’arrivo della sera giunge in un’atmosfera simile a quella del coprifuoco. Gli abitanti si chiudono in casa e gli unici diversivi, per molti di essi, rimangono il guardare la televisione, la conversazione al telefono, o il ritrovo domestico con qualche conoscente.

Le persone che hanno scelto di rimanere in quelle case sono, in prevalenza, di età avanzata: per loro, l’abbandono della propria dimora potrebbe provocare un trauma psicologico non indifferente, soprattutto per la perdita dei punti di riferimento quotidiani ai quali sono abituati.

È giusto che le piccole località debbano subire quest’emorragia di residenti e perdano la loro funzione di presidio del territorio?

Lo sfogo di questa domenica ruota, appunto, attorno a questo argomento.

Diciamo che la necessità di spostarsi verso le città, alla ricerca di condizioni di vita più soddisfacenti, era naturale nel passato, quando i borghi montani non potevano garantire né adeguate opportunità di lavoro, né servizi efficienti a costi contenuti. Il primo grande esodo verso le città era, insomma, inevitabile, e veniva incoraggiato da una prospettiva di vita nuova, in grado di riscattare le ristrettezze vissute fino a quel momento. 

Oggi la situazione non può essere la stessa. Le grandi città non riescono a garantire, come avveniva in passato, l’impiego di una parte consistente di manodopera e le stesse caratteristiche del mercato del lavoro moderno non prevedono l’esodo massiccio della forza lavoro verso i luoghi di produzione.

Va aggiunto che le caratteristiche di alcune occupazioni includono, con sempre maggiore frequenza, l’utilizzo di strumenti informatici, capaci di praticarle da qualsiasi località. È il cosiddetto smart working, cioè un tipo di impiego senza vincoli di orario, né di luogo.

La mia sensazione, quindi, è che il lento svuotamento dei borghi di montagna dipenda sì dalla carenza di opportunità lavorative, ma anche dalla mancanza di una rete di servizi adeguata per coloro che avrebbero il desiderio di trattenersi.

Assistenza sanitaria, rete di trasporti, tutela ambientale e dialogo fra le varie realtà territoriali sono quattro aspetti che andrebbero analizzati con maggiore attenzione da chi si occupa di politiche territoriali. Solo in questo modo diventa possibile rilanciare, in queste zone, una nuova forma di sviluppo.

Assistenza sanitaria

Oltre a un migliore collegamento con i presidi ospedalieri più vicini, è auspicabile il mantenimento dei riferimenti sanitari indispensabili per un territorio come, ad esempio, la presenza del medico di base. Quando la popolazione locale scende oltre un certo limite, questa figura viene rimossa. Opportuno sarebbe, quindi, rivedere alcuni aspetti organizzativi in materia di politiche sanitarie.

Rete di trasporti

I trasporti pubblici andrebbero mantenuti, con una migliore distribuzione delle corse giornaliere e attivando particolari agevolazioni tariffarie in base alle esigenze degli utenti.

Tutela ambientale

Abbandonando i borghi, vengono abbandonate anche le terre. Le terre incustodite favoriscono l’avanzamento del bosco che espone anche al rischio di dissesto idrogeologico.

Dialogo fra le varie realtà territoriali

Gli abitanti di questi piccoli centri dovrebbero dialogare tra di loro con maggiore frequenza, mettendo in comune le proprie esperienze e concertando iniziative insieme.

Per valorizzare un territorio è necessario, dunque, riconsiderare la vera essenza che caratterizza una zona. Può essere una delle chiavi per riqualificare i vecchi borghi dimenticati, in montagna come in qualsiasi altro ambiente.

Buona domenica e scusate lo sfogo.

Luca Tosi
Borghi di montagnaSanta Fiora
Luca Tosi
Sono nato ad Arezzo il 26 luglio 1963. Nel 1980 ho iniziato a collaborare con l’emittente radiofonica Radio Onda di Pietramala. Negli anni successivi, dopo altre esperienze radiofoniche, sono diventato collaboratore della Nazione di Firenze, del Tirreno di Livorno e del periodico Arezzo sport. Nell’ottobre 1983 ho avuto l’opportunità di entrare a Teletruria come collaboratore: sono stato telecronista di vari campionati di calcio, redattore di cronaca e sport, e curatore di alcuni programmi culturali dell’emittente, nella quale lavoro ancora oggi. Nell’anno in cui ho deciso di avviare questo blog, con l’aiuto di un caro amico ingegnere, Nicola Impallomeni, compio 57 anni di vita e quaranta di professione. Forse, era giunto il momento di creare qualcosa di personale per raccontare e raccontarsi. Lo studio della lingua italiana, e il gusto per l’ordine, sono stati gli aspetti più importanti della mia formazione letteraria. Se dovessi prediligere un tipo di scrittura nel quale mi ritrovo, e che ho cercato di portare avanti in questi anni, potrei dire la “scrittura ordinata”, schematica, senza per questo essere monotona. Tralascio ogni altro riferimento alla carriera (collaborazioni con la Rai, ricerca all’università di Perugia, progetti di programmi, uffici stampa, attività all’estero) perché diffido un po’ dei curriculum gonfiati. Non sempre sono credibili e non vorrei fare la figura del pallone bucato da uno spillo.
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