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Viaggiare con la fantasia

Il rosso stinto del chilometro 107

di Luca Tosi Posted on 24 Luglio 202025 Luglio 2020

L’Italia ne è piena. Si riconoscono soprattutto per il colore delle loro facciate, una tonalità di rosso, definito «pompeiano», che le rende riconoscibili anche da alcuni chilometri di distanza. Sono le case cantoniere, strutture di varie dimensioni, quasi sempre collocate ai margini delle strade.

Erano, e sono, di proprietà dell’Anas, la quale le concedeva, in uso gratuito, ai cantonieri e alle loro famiglie.

Quella del cantoniere è stata, per molto tempo, una figura simbolica nella vita civile del nostro paese. A lui era demandata la manutenzione delle strade e, proprio per facilitare il suo lavoro, veniva fatto alloggiare vicino a quei tratti (3-4 chilometri, il cantone, appunto) che aveva l’incarico di sorvegliare: pulizia delle fossette, imbrecciatura delle banchine e sistemazione dell’asfalto erano solo alcune delle operazioni che era chiamato a svolgere di giorno in giorno.

A queste mansioni, perlopiù operative, se ne affiancavano altre di diversa natura come, per esempio, il contributo al soccorso alle persone ferite, l’alloggio ai viaggiatori nei casi di emergenza, o il ricovero di agenti della forza pubblica. Insomma, un punto di riferimento per tutti coloro che si mettevano in viaggio, un prezioso presidio del territorio, adatto anche per ricevere informazioni (cellulari ancora sconosciuti, se non quelli della polizia).

Col passare del tempo, la figura del cantoniere ha perso la sua importanza, fino a scomparire con l’avvento della modernità e delle nuove tecnologie. Nel 1982 un regolamento specifico ha abolito, di fatto, la figura del cantoniere tradizionale, ma già qualche anno prima la maggior parte dei cantonieri, con le proprie famiglie, aveva lasciato le sue abitazioni.

Tutte considerazioni che il viaggiatore immaginario ha fatto proprie in un giorno di estate, spinto dalla curiosità di osservare da vicino una di queste tipiche case rosse, percorrendo le colline fra Arezzo e Siena a bordo della sua auto.

La vecchia statale 73 Senese-Aretina, che da Monte San Savino risale il colle di Palazzuolo per poi ridiscendere verso la colonna del Grillo, e dirigersi verso Siena, offre un esempio significativo a questo proposito. È una strada poco frequentata, dove i rumori del bosco sono prevalenti, e non di poco, a quelli dei motori. Scendendo verso il fondovalle, al chilometro 107, in prossimità di una curva che immette in un breve rettilineo, la sagoma di un’ampia casa cantoniera sbuca in mezzo alla vegetazione. La strada è deserta e l’opportunità di vedere da vicino quella costruzione giustifica una sosta ai margini della carreggiata.

La casa è su due piani, massiccia e squadrata; accanto a essa, un magazzino, un garage, un piccolo caminetto in muratura e perfino uno spazio destinato a custodire qualche animale, forse volatile. La struttura, di per sé, non è fatiscente, a parte il distacco della grondaia di lamiera e di qualche calcinaccio caduto dal tetto, ma si capisce che la condizione di degrado, accresciuta dallo stato d’incuria degli spazi esterni, è quasi arrivata al punto di non ritorno.

L’occhio del viaggiatore cerca di soffermarsi su alcuni particolari fin quando, avvicinandosi al fabbricato, si rende conto che le finestre e la porta d’ingresso sono state chiuse con alcuni laterizi in cemento. Di fatto, la casa non è più accessibile. Il viaggiatore immaginario non aveva voglia di entrare all’interno; gli sarebbe bastato osservare qualche particolare in più per avere una conferma delle sue ipotesi. Ma la sua curiosità, soprattutto quella visiva, viene frustrata dalla presenza di quei manufatti di colore grigio, i quali impediscono di lanciare lo sguardo oltre.

Non gli resta che viaggiare con la fantasia e immaginare come fosse quello spicchio di mondo oltre mezzo secolo fa.

Il rumore, innanzitutto. Era senz’altro maggiore di quello di oggi. La ss 73 era la principale via di collegamento tra Arezzo e Siena, un percorso quasi obbligato per raggiungere le due città. Il volume del traffico automobilistico negli anni sessanta era più ridotto a quello di adesso, d’accordo, ma la frequenza del passaggio dei veicoli era allora più elevata di quella attuale. Il silenzio del bosco veniva rotto dal transito delle auto e, soprattutto, dei camion, impegnati a risalire il colle di Palazzuolo.

Poi la casa. Facile immaginare che fosse abitata da più famiglie. Le donne la riassettavano, mentre i mariti uscivano dalla porta la mattina presto, con le zappe e le pale sulle spalle e la falce in mano; percorrevano qualche centinaio di metri lungo la banchina e iniziavano la loro missione quotidiana.

Poi il transito di persone. Molte di esse si saranno fermate per motivi di lavoro; altre ancora avranno sostato per il piacere di conversare, altre ancora si saranno fatte avanti per un semplice gesto di cortesia.

Insomma la vita. Quella vita che talvolta ci sfugge dalle mani e non abbiamo il modo di riprendere. Un po’ come è accaduto al chilometro 107.

Luca Tosi
AnasArezzoCasa cantonieraColonna del GrilloPalazzuoloSiena
Luca Tosi
Sono nato ad Arezzo il 26 luglio 1963. Nel 1980 ho iniziato a collaborare con l’emittente radiofonica Radio Onda di Pietramala. Negli anni successivi, dopo altre esperienze radiofoniche, sono diventato collaboratore della Nazione di Firenze, del Tirreno di Livorno e del periodico Arezzo sport. Nell’ottobre 1983 ho avuto l’opportunità di entrare a Teletruria come collaboratore: sono stato telecronista di vari campionati di calcio, redattore di cronaca e sport, e curatore di alcuni programmi culturali dell’emittente, nella quale lavoro ancora oggi. Nell’anno in cui ho deciso di avviare questo blog, con l’aiuto di un caro amico ingegnere, Nicola Impallomeni, compio 57 anni di vita e quaranta di professione. Forse, era giunto il momento di creare qualcosa di personale per raccontare e raccontarsi. Lo studio della lingua italiana, e il gusto per l’ordine, sono stati gli aspetti più importanti della mia formazione letteraria. Se dovessi prediligere un tipo di scrittura nel quale mi ritrovo, e che ho cercato di portare avanti in questi anni, potrei dire la “scrittura ordinata”, schematica, senza per questo essere monotona. Tralascio ogni altro riferimento alla carriera (collaborazioni con la Rai, ricerca all’università di Perugia, progetti di programmi, uffici stampa, attività all’estero) perché diffido un po’ dei curriculum gonfiati. Non sempre sono credibili e non vorrei fare la figura del pallone bucato da uno spillo.
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